Non ci sono George Clooney e Brad Pitt in Ocean’s 8, ma la formula del film diretto da Gary Ross non si discosta molto da quella tracciata da Steven Soderbergh nella sua trilogia iniziata nel 2001 con Ocean’s Eleven e finita sei anni dopo con Ocean’s Thirteen.
Sono passati undici anni fino a questo spin-off, mentre sono cinque quelli trascorsi in prigione da Debbie Ocean, sorella di Danny interpretata da Sandra Bullock. Cinque anni dietro le sbarre con un unico obiettivo in mente, quello di derubare il Met Gala ed entrare in possesso di una collana di diamanti dal valore di 150 milioni di dollari. Per farlo Debbie dovrà mettere in piedi una squadra di ladre e truffatrici più o meno credibili, che vanno dall’hacker fino a… fino a chi? È qui che Ocean’s 8 inizia a scricchiolare, quando una scrittura banale e poco efficace finisce per svilire un cast di primo ordine composto da nomi come la già citata Sandra Bullock, Cate Blanchett, Sarah Paulson, Helena Bonham Carter e Anne Hathaway.
Tutte troppo impegnate a “fare cose” piuttosto che a far capire al pubblico chi sono, lasciando che sia il film a trasportare i loro personaggi fino alla fine del colpo e della pellicola. Finisce quindi che in un gruppo di otto protagoniste più della metà risultino sbiadite e monodimensionali e che forse, l’unica a non risultare totalmente fastidiosa, è la star svampita interpretata da Anne Hathaway, unico personaggio con un percorso di crescita degno di essere definito tale.
Il resto del gruppo si muove tra una scena e l’altra con fare poco credibile, chiedendo allo spettatore il sacrificio nel credere all’incredibile lì dove nemmeno i film di Soderbergh si erano spinti. Una richiesta che avremmo accolto volentieri se fosse servita a regalarci un buon prodotto, cosa che, purtroppo, Ocean’s 8 non è.
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