Come si può raccontare la vita di un uomo? Solitamente il media cinematografico ci ha abituato ad un racconto cronologico, seguendo il protagonista dalla nascita fino alla morte, tratteggiandone più i cambiamenti attraverso gli anni che attraverso gli avvenimenti. Le difficoltà di raccontare “una vita” aumentano a dismisura quando il personaggio che l’ha vissuta risponde al nome di Steve Jobs, genio discusso che ha plasmato la quotidianità di ognuno di noi. Che sia tramite un Mac o un iPhone, il lascito di Jobs riecheggia ogni giorno nelle nostre vite, rendendo il suo operato così importante da essere quasi universale. In Steve Jobs, il biopic dedicato al fondatore della Apple, lo sceneggiatore Aaron Sorkin, che Jobs l’ha conosciuto davvero, decide di percorrere una strada diversa, optando per un’opera dal sapore quasi teatrale, che allestisce tre palchi per narrare altrettanti momenti cruciali nella vita del personaggio: il lancio del Macintosh, la nascita della NeXT e la presentazione del primo iMac. Attraverso questi avvenimenti Sorkin traccia l’evoluzione del personaggio, riuscendo a separare l’aspetto umano da quello professionale, unendoli lì dove necessari, e ricorrendo all’espediente del flashback per raccontare (brevemente) la gioventù di Jobs, anche questa racchiusa in un unico “palco”, quello dell’ormai iconico garage.
La visione di Danny Boyle serve poi a rendere il film meno caotico di quanto ci si potrebbe aspettare da uno script di Sorkin, abituato a dialoghi rapidi e taglienti, che spesso si incrociano insieme ai suoi personaggi, e a mettere in scena delle sedute di psicoanalisi, in cui il personaggio di Kate Winslett (fedele spalla di Jobs durante tutta la sua carriera) ci guida all’interno della psiche dell’uomo, evidenziandone la continua evoluzione, dall’immaturità del genio ribelle alla saggezza del tech guru. Visto in questo modo, il biopic inteso come racconto di vita viene superato, rendendo anche plausibile la tanto chiacchierata scelta di Michael Fassbender per il ruolo di Steve Jobs; una lamentela portata avanti da chi probabilmente aveva lodato il casting di Ashton Kutcher nel disgraziato Jobs, uscito ormai tre anni fa.
Contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare, Steve Jobs è un film che riesce ad incantare nonostante una certa prevedibilità, dovuta soprattutto al dover raccontare la storia di uno degli uomini più famosi di sempre. Nel farlo, però, la coppia Sorkin-Boyle sceglie la via più intelligente, quella dell’approfondimento umano, tralasciando la ricerca dell’identico e preferendovi quella della verità. Il risultato è ottimo.
- Voto8
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